Vita napoletana nel XVIII secolo

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Nel 1700 il fascino di Napoli, sottoposto a ripetute e prolungate eclissi nel corso dei secoli precedenti, riacquista quasi d’incanto il suo potere di attrazione: il flusso dei viaggiatori settentrionali non si arresta più a Roma, ma si prolunga sino alla città partenopea e ai suoi splendidi dintorni. Le scoperte di Ercolano e di Pompei sono un motivo sufficiente per spiegare il rinnovarsi di questo favore: ma non è che il felice corollario a un interesse scaturito dal fatto politico della città che, rispondendo a una propria vocazione, ha ritrovato la propria funzione di capitale.

Il tono della «capitale» è dominante nel clima della Napoli del XVIII secolo, tanto che de Brosses poteva scrivere: «è la sola città d’Italia che sente realmente di essere capitale… tutto contribuisce a conferirle quell’aspetto vivo e animato che hanno Parigi e Londra, e che non si trova affatto a Roma». Per assumere questo piglio regale la città non aveva atteso la venuta del giovane re Carlo di Borbone. All’inizio del secolo le attività intellettuali e le arti vi rifulgevano già con vivo splendore; nella musica la scuola napoletana si era conquistata un vero primato.

Con la venuta di Carlo, Versailles proietta dei riflessi su Napoli: la città dei «lazzaroni» diventa anche una città di corte. Poi, con Ferdinando, che si identifica molto bene con la popolazione più tipicamente napoletana, Napoli attua in pieno, a modo suo, il concetto di questo secolo votato al godimento del benessere. Estendendo le sue ville e i suoi palazzi, da una parte, verso Portici, in una pianura allora libera da officine e da fumo, e dall’altra lungo la Chiaia verso Posillipo ancora boscoso, Napoli raggiunge l’apogeo del suo fascino, se non del suo sviluppo. Alle meraviglie del suo cielo, del suo golfo, della sua Campania felice, essa aggiunge i tesori inauditi che incominciano ad offrirle in gran copia gli scavi di Ercolano e Pompei.

Tracciare la vita di Napoli nel XVIII secolo – epoca in cui Napoli fu forse più napoletana che mai – affinché il viaggiatore possa penetrare, al di là delle apparenze tutte superficiali delle quali si accontenta la maggior parte dei turisti, fino all’anima della città e per consentire al passante del nostro secolo, durante la sua «ricerca della felicità», di respirare ancora l’aria del secolo in cui si assaporava «la dolcezza del vivere»: ecco la ragione che ha mosso a scrivere questo libro.

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