Bacoli muta
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Se non adesso, mai più.
Non ho mai parlato,finora,
addormentata nel silenzio e nel sonno,
quasi ubriaca di pigra dolcezza.
Mi sono talmente adagiata, in questa vasca
di mare caldo e azzurrino, da sembrare quasi assente,
disanimata, profondamente malata.
“Bella”, dicevano sempre di me,
“ma troppo rilassata,come perduta”.
Io rispondevo col respiro profondo del mio sonno,
talmente profondo da abbassare e alzare il paesaggio del mio petto,
con una grave lentezza secolare.
Per molto tempo, ho creduto di essere morta,
proprio così, morta.
E allora queste voci da dove vengono?
Dare voce a tutto ciò che voce non ha ma a cui l’uomo ha dato un nome, un uso, pregio, difetto, odore,sapore.Melodia impalpabile le parole che danno voce a tutto ciò che è Bacoli. E’ Bacoli che parla,ora la spiaggia
“…Presi dal sole, storditi dalla sua luce, non mi rivolgono nemmeno uno sguardo, illudendosi che sotto di loro io non esista affatto, senza rendersi conto che io sono capace di infilarmi dovunque, nelle loro più gelose fessure, nella loro inconfessata vulnerabilità.Trovo veramente ridicola, la vanità con cui si offrono al mio implacabile nemico, la sicurezza di ricevere benessere, dall’Autore stesso del Male.
Che tu sia maledetto, Sole! Ci dai l’illusione di esistere, abolendo il buio e il freddo di cui siamo veramente fatti….”che lascia voce al diavolo, al mare, la televisione, gli ebrei, lo specchio i cani e la memoria, la noia.Ogni astro, ogni oggetto o entità lascia spazio a chi dopo parlerà di sé, ma è sempre l’uomo al centro dei pensieri, dei dialoghi di questi strani personaggi. Ernesto Salemme fa laboratorio teatrale e in queste pagine è forte la presenza del teatro e degli attori che in un infinito e delicato controcanto scambiano i ruoli.
Non c’è rottura di dialogo, ogni personaggio chiama il prossimo, lo invita a continuare il discorso esprimendo il suo sé, il mondo visto dai suoi occhi o tormenti. Strano sentir parlare il mare, dargli voce che non sia fruscio d’onda, la spiaggia che non sia suono di scricchiolii di granelli sotto i nostri corpi.Ogni voce narra la storia del personaggio principale, accompagnandolo per tutto il racconto con parole di ossessione o di liberazione.Una storia che parla degli uomini, della continua ricerca di tutto ciò che è apparire nascondendo a se stessi cosa realmente si è.Il viaggio dell’umanità che dimentica la sua storia nel possesso dell’inutile che ci svuota. Il personaggio principale ne è il simbolo.Il simbolo della follia dell’umanità sempre in bilico tra vita e morte ”..in fondo, lo avevi sempre saputo, che per alzarsi bisogna cadere.Che bisogna morire per provare a rinascere…”
Una recensione dovrebbe presentare un libro riassumendone il racconto in poche righe, non voglio farlo perché poche righe non basterebbero a dare
l’idea di cosa, davvero, questo libro parla.E’ il sublime e la tragedia,
è un viaggio nell’Ade per ritornare “a riveder le stelle”.E’ precipitare nel nostro buio per cercare la bellezza.Regala sensazioni difficili da trasporre in parole. Ernesto Salemme attraverso la tragedia di un uomo narra la storia di un paese e la sua storia di miti, di ciò che fu in un passato di gloria che l’oblio ha forse distrutto, ma la speranza è viva.
Un racconto corale, insolito nei dialoghi che sfiorano la poesia.